Forse la prima descrizione di depressione è quella che Omero fa di Bellerofonte nell’Iliade:
“[…] ma quando viene in odio agli Dei, Bellerofonte solo e consunto di tristezza errava pel campo acheio l’infelice e l’orme dei viventi fuggìa […]”. Con l’abbandono degli Dei si spegne il coraggio e la forza di vivere ed è il vuoto assoluto, la tristezza divorante in cui l’eroe si dibatte e si logora.

Gli artisti prima degli altri sono riusciti a cogliere e a rappresentare le sofferenze e le inquietudini dell’uomo: le loro descrizioni sono state da sempre esemplificative della depressione. La malattia è conosciuta fin dall’antichità e da allora è descritta come un insieme di comportamenti o modulazioni affettive che vengono considerate un’anomalia rispetto alla normalità, che oggi è appunto chiamata depressione.

La Depressione in Italia

Chi presenta i sintomi della depressione maggiore, secondo il DSM-5, vive frequenti e intensi stati di insoddisfazione e tristezza e tende a non provare piacere nelle comuni attività quotidiane. Le persone che soffrono di disturbo depressivo maggiore vivono in una condizione di frequente umore negativo, con pensieri negativi e pessimisti circa se stessi e il proprio futuro.
Il 26 Luglio 2018 l’ISTAT (Istituto Statistico Italiano), in collaborazione con EUROSTAT, ha pubblicato i dati relativi alla salute mentale in Italia in riferimento agli anni 2015-2017.

Ciò che emerge è un quadro in cui la depressione risulta essere il disturbo mentale più diffuso in Italia (nonostante il dato sia significativamente più basso rispetto alla media europea) che nel 2015 ha colpito più di 2,8 milioni di persone (il 5,5% della popolazione dai 15 anni in su), a cui si aggiungono altri 1,5 milioni di persone (2,9%)  che hanno manifestato altri sintomi depressivi che però non raggiungono la diagnosi di depressione maggiore.

Inoltre, nella metà dei casi (47,9%) la depressione si associa ad ansia grave, un problema che colpisce oltre 2,2 milioni di persone dai 15 anni in su. Un altro dato che emerge è che con l’aumentare dell’età, cresce la prevalenza dei disturbi e questo soprattutto in Italia rispetto ai dati europei: dal 5,8% tra i 35 e i 64 anni all’ 11,6% per gli over 65. Le differenze di genere sono a sfavore delle donne, più colpite rispetto agli uomini (9,1% contro il 4,8%), soprattutto in tarda età dove il divario aumenta (19,2% contro 9,5%).

Tra i fattori maggiormente associati a questa psicopatologia vi sono fattori culturali e socio economici. È emerso infatti che per gli adulti di età compresa tra i 35 e 64 anni e anziani con basso livello di istruzione, le prevalenze dei disturbi dello spettro depressivo raddoppiano. Anche il basso reddito sembra contribuire, con un andamento simile a quello che si osserva per il grado di istruzione per gli adulti: chi non lavora riferisce più̀ spesso disturbi di depressione o ansia cronica grave (10,8% e 8,9%) rispetto ai coetanei occupati (3,5%). In poche parole, l’ISTAT ci mette di fronte ad una fotografia di un paese in cui la depressione esiste e pesa sulle vite degli italiani.

Fenomenologia della Depressione

Quello che la statistica però non può cogliere, è la fenomenologia della depressione, ovvero come questa psicopatologia abbia cambiato il suo volto nel corso degli anni spostando la sua essenza dal senso di colpa al senso di inefficienza. Per questo è necessario che le figure che si dedicano alla diagnosi e alla cura di questa psicopatologia siano in grado di comprenderne il linguaggio, molto spesso non fatto di parole, ma di un silenzio che parla e che chiede di essere ascoltato.

La lente tramite la quale guardare la depressione è stata storicamente identificata dagli esperti nella perdita di un affetto e quindi nel relativo senso di colpa vissuto. Il depresso sente se stesso, la propria vita, la realtà circostante secondo una trasformazione peggiorativa che colora tutto di qualità spiacevoli e dolorose. L’esistenza del depresso si svuota di significato e di interesse, è vissuta nella solitudine, la morte è vista come liberatrice.
Cambia il modo di essere nel mondo, soprattutto nei parametri del tempo e dello spazio. C’è la paralisi del divenire, la nostalgia è dolorosa, il futuro inaccessibile, sbarrato, non c’è più progettualità, il presente si contrae, diventa immodificabile. Lo spazio è ristretto, angusto, chiuso, immobile, vuoto, gli oggetti diventano irraggiungibili: mi sento lontano dentro.

Che cos’è la Depressione?

A partire dagli anni Settanta la depressione ha iniziato a perdere il titolo di “nevrosi” che per definizione è il risultato di un conflitto tra ciò che è proibito e ciò che è consentito. Grazie anche ad un progressivo miglioramento della situazione economica, si assiste al graduale tramonto del limite per lasciare spazio ad una nuova contrapposizione: quella tra il possibile e l’impossibile, diventando il metro di paragone in base al quale definire la propria identità.

Oggi l’uomo, agli occhi della fenomenologia, appare essenzialmente possibilità aperta al futuro grazie alla sua innata capacità di progettarsi. Ecco che la depressione si affaccia nell’esistenza non più sotto forma di “senso di colpa” per aver trasgredito la norma, bensì come senso di insufficienza per ciò che si potrebbe ma che non si riesce a fare, generato a partire dalle aspettative degli altri in base alle quali giudicare i propri risultati. Così succede che quando le possibilità verso le quali tendere sono un po’ più in là delle capacità, si manifesta la tristezza, emozione che, praticamente, è sempre stata nucleo centrale del disturbo.

La tristezza andrebbe considerata un modo normale e sano di sentirsi che emerge in risposta a un evento/condizione ostile e immodificabile. Possiede quindi un profondo significato relazionale, come una sorta di richiamo verso il proprio stato di malessere, caratterizzato dall’impedimento e/o dalla perdita dell’obiettivo. Può manifestarsi attraverso gradi diversi di inattività e dalla spiacevolezza che nella tristezza profonda può arrivare fino al dolore fisico.

Venendo meno il concetto di limite, l’uomo si trova ad agire in completa autonomia, assumendosi la responsabilità delle sue azioni, dei suoi successi come dei suoi insuccessi: in questo senso la depressione appare molto legata all’azione e all’inibizione, in un contesto dove l’agire corrisponde ad una continua valutazione del proprio valore.

Da un lato, la società post-moderna ci chiede continue dimostrazioni del nostro valore, dall’altro le possibilità di sperimentarlo sono così numerose da metterci in scacco destinandoci all’impossibilità di decidere quali percorrere. La tristezza possiede nel suo esprimersi un aspetto paradossale: un’emozione che, mentre ci inchioda al mondo, al tempo stesso ce ne allontana per la tendenza a focalizzare l’attenzione interiormente.

“Se l’emozionarsi rappresenta il tentativo dell’organismo
di ri-orientarsi in relazione al mutare dei contesti
generando nuove possibilità di senso (tendenze all’azione),
la tristezza prolungata segnala l’impossibilità
di cogliere in altro modo la condizione in corso,
che resta così la situazione principale
secondo cui sentirsi situati”.

(Arciero & Bondolfi, 2012).

Cosa fare?

È importante prestare attenzione al valore che attribuiamo ai “nuovi sintomi” della “depressione moderna” come la stanchezza, fatica, preoccupazione persistente, ansia, rabbia, poiché possono essere facilmente considerati aspetti normali della modernità. In questi casi è utile rivolgersi ad un professionista (psicologo o psicoterapeuta) con una formazione specifica e degli strumenti in grado di tradurre il linguaggio di un’esperienza fratturata e ricondurla al mondo della vita, scoprendo insieme al suo paziente le possibilità che gli sono più proprie e in base alle quali progettarsi, ovvero tornare ad esistere.

Bibliografia:
  • Alain Ehrenberg (2010), La fatica di essere sé stessi. Depressione e società. Torino: Giulio Einaudi editore.
  • Arciero, G. & Bondolfi, G. (2012). Sé, Identità e gli Stili di Personalità. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Istat. (2018). La salute mentali nelle varie fasi della vita. Report Statisiche. Available https://www.istat.it/it/files/2018/07/Report_Salute_mentale.pdf
  • Kroenke et al. (2009), The PHQ-8 as a measure of current depression in the general population”, J Affect Disord.;114(1-3), pp.163-73.

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