Il Disturbo Bipolare, definito in passato anche Sindrome Maniaco-Depressiva, è una patologia molto seria che se non trattata tempestivamente ed in maniera adeguata, può causare gravi sofferenze e risultare decisamente invalidante.
Questo disturbo è sostanzialmente caratterizzato da un’alternanza fra episodi di eccitazione e inibizione nel contesto dell’attività psichica, quindi gravi alterazioni dell’umore, delle emozioni e dei comportamenti, il tutto con una durata piuttosto variabile. Questi sbalzi consistono in Episodi Maniacali/Ipomaniacali ed Episodi Depressivi, motivo per cui questa patologia è definita Bipolare.
“E’ opportuno che le persone conoscano che il cervello è la sola e unica origine di tutte le gioie e dei piaceri, degli scherzi e delle risa, ma così anche delle preoccupazioni e mestizie, della sofferenza e del pianto. Attraverso il cervello possiamo immaginare, vedere, ascoltare e discernere fra sensazioni di vergogna, di benessere e di malessere, di felicità […]. È attraverso il cervello (la ragione, n.d.a.) che diveniamo irragionevoli e incolleriti, che maturiamo le nostre ansie e i nostri timori del giorno e della notte, che commettiamo errori e che proviamo preoccupazioni senza fondamento, che smarriamo l’abilità di riconoscere la realtà, che diveniamo apatici e ci ritiriamo dalla vita sociale […]. È quando il cervello si ammala che noi soffriamo per ognuno di questi aspetti.”
Sono le parole di Ippocrate (460-337 a.C.) a descrivere in modo sistematico il dualismo fra mania e depressione, la disregolazione di quei fenomeni di eccitazione e inibizione che sono alla base del nostro funzionamento. Mania e depressione sono due delle patologie umane dalla descrizione più antica.
Nel Fedro, Platone parla di mania come “ispirazione profetica”, mantice donato dal dio dell’amore e che insuffla e ispira gli uomini all’arte e al canto. Ma i greci associano al genio e alla creatività anche la personalità melancolica. Areteo di Cappadocia (I secolo d.C.) per primo descrive il legame intimo fra questi due caratteri.
Il concetto moderno di disturbo bipolare (BD), più affine a come lo intendiamo noi, viene proposto in Francia attraverso le pubblicazioni di Jean-Pierre Falret (1851) e Jules Baillarger (1854) ed espresso come “folie circulaire” o “folie à double forme”.
LE MANIFESTAZIONI BIPOLARI
Le incertezze nella classificazione dei disturbi tipica del DSM-5, ci portano a considerare il Disturbo Bipolare come un continuum fra diverse patologie, ossia come le diverse sfumature di un unico “spettro” bipolare che difficilmente si adatta a classificazioni definitive ed esaustive. Per esigenze di specificità dell’articolo non viene citata l’ipomania, comunque molto spesso presente e da intendere come una modificazione del tono dell’umore che, pur non raggiungendo la gravità dell’episodio maniacale conclamato, non corrisponde al normale temperamento dell’individuo.
Depressione
Le persone che soffrono di un episodio di depressione hanno, per almeno due settimane, un livello energetico enormemente basso: si sentono apatiche, stanche, autocritiche, pessimiste e scoraggiate per il futuro. Il perdurare di un abbassamento sostanziale dell’umore fa sperimentare un senso d’inutilità, colpevolezza, mancanza di speranza e indegnità.
I sintomi principali di un episodio depressivo sono:
Mania
La mania costituisce uno stato d’animo anomalo, persistentemente elevato ed irritabile.
È caratterizzato dai seguenti sintomi:
Semplificare però il tutto, sulla base di reali esperienze cliniche, dicendo che un Disturbo Bipolare è l’alternanza di fasi maniacali e depressive è riduttivo. Vi sono ad esempio episodi o situazioni in cui l’euforia non si presenta affatto e compare al suo posto la disforia. Con questo termine si indica un eccesso di malumore che porta a crisi rabbiose anche intense che possono essere aggravate dal tentativo di auto medicarsi con alcool o sostanze d’abuso.
VIVERE SULLE MONTAGNE RUSSE
Non si dice mai abbastanza ed è bene ripeterlo: la depressione è la manifestazione clinica più frequente del Disturbo Bipolare. Ormai sappiamo bene che i pazienti bipolari tendono ad avere sintomi per la metà della loro vita e che la gran parte della loro vita la passano da depressi. Ed è questo lo stato in cui li incontriamo più spesso, chiedono aiuto quando si sentono disperate, quando “l’acqua torbida, densa come liquame e terribilmente pesante” le sommerge senza farle respirare, quando “il mare è nero”.
Il vissuto depressivo bipolare ha delle sfumature che dobbiamo riconoscere e che lo rendono diverso dalle forme unipolari. Si tratta di una depressione che ha un esordio precoce, che si manifesta spesso con sintomi ansiosi, mancanza di energia, preoccupazioni, rimuginio, sensazione di inibizione, di vuoto emozionale, di indifferenza rispetto invece alla tristezza e al pessimismo che caratterizzano le classiche depressioni unipolari, in cui i pazienti sono congelati e immobili, persi altrove, con la persona depressa che si descrive come “in un tunnel”. Nonostante questo, nel caso delle depressioni bipolari, la tristezza, può non costituire l’emozione predominante.
Il depresso bipolare ha sempre un po’ di quell’argento vivo, di quella fiamma che ha bruciato rapidamente un attimo prima. Questa fiamma si percepisce nella sua irritabilità, nel suo muoversi e agitarsi, nel suo ricorrere all’alcol o alle sostanze per ritrovare un po’ di quell’energia che ha consumato prima. Possiamo, quindi, notare che la depressione bipolare può assumere varie forme, pur rimanendo la stessa malattia.
Gli episodi depressivi possono essere preceduti da fattori stressanti, quali la perdita di una persona cara o una separazione, eventi che possono essere scatenanti, ma mai rappresentare, la causa dell’episodio. Nella maggior parte dei casi, questi episodi insorgono comunque spontaneamente, senza il concorso di alcun fattore stressante. Ma come può esistere la depressione senza tristezza, esistono delle forme di mania dove i sintomi dominanti sono irritabilità e rabbia anziché l’euforia.
Chi attraversa una fase maniacale invece, molto spesso, non riconosce di essere malato ed è possibile che opponga resistenza ai tentativi di trattamento proposti. Molto spesso si trovano giustificazioni e razionalizzazioni per il proprio comportamento, si modifica il modo di vestire, di truccarsi e di apparire, per utilizzare uno stile più appariscente e seduttivo, che può divenire inappropriato. Talvolta si ha la tendenza a dare consigli a sconosciuti o regalare denaro. A tutto ciò si può associare la presenza di gioco d’azzardo, comportamenti antisociali e abuso di sostanze. Le considerazioni etiche vengono spesso dimenticate e gli altri non vengono presi in considerazione, ad esempio con una insolita incapacità ad accettare opinioni o posizioni contrarie alle proprie.
Questo può sfociare in aggressività verbale o fisica, contro oggetti (rompere cose) o persone. Nonostante ciò e nonostante la posizione allarmistica che la stampa attribuisce al termine “maniacale”, dobbiamo precisare che l’occorrenza di gravi aggressioni non rappresenta un evento frequente durante le fasi maniacali. Contrariamente alle credenze popolari di solito il paziente maniacale non è pericoloso e violento.
Nel corso di una fase maniacale possono comparire sintomi psicotici. Ne esistono di due tipi: le allucinazioni (percezioni senza un oggetto che le motivi. Ad es. vedere cose o persone, udire voci…) e i deliri (convinzioni più o meno assurde ed immotivate che non si modificano di fronte al ragionamento.
IL DISTURBO BIPOLARE TRA SENSO DI ESTRANEITÀ E DI IDENTITÀ
Ma come fa un individuo che soffre di un disturbo cronico, ricorrente e così pervasivo a sviluppare e mantenere un efficace senso di identità? Come si fa ad essere una persona (cioè me-stesso-nel-mondo) con il Disturbo Bipolare? O anche, per dirla con le parole del grande psicologo William James, “come faccio a ritrovare ogni mattina nel mio vecchio letto, tra le pieghe della coscienza, il mio vecchio me stesso…?”.
L’identità, come medesimo, riguarda un aspetto immodificabile del soggetto (i dati oggettivi, statici e immutabili) con l’ipseità che corrisponde all’aspetto narrativo che si modifica ogni volta che il soggetto costruisce un racconto di sé. In questo andirivieni di stati ed esperienze molto diverse l’una dalle altre, questo raccontarsi potrebbe avere difficoltà ad essere omogeno e davvero così continuo come meriterebbe.
Sappiamo bene infatti che questa tematica è centrale nei pazienti bipolari, i quali hanno spesso difficoltà nel fare esperienza di sé come un qualcosa di continuo e coerente e non riescono a definire i confini e i limiti che distinguono il territorio della personalità, da quello del disturbo; il proprio sé da ciò che il mondo (gli altri) e loro stessi considerano “prodotto della malattia”.
In molti pazienti è facile che emergano questioni quali: “è parte di me e della mia identità” o “è semplicemente una malattia fastidiosa?”. “Cosa è dovuto alla malattia e cosa alla mia personalità, al mio carattere? Dove finisce uno e dove inizia l’altro? Le alterazioni a cui va incontro il mio umore riflettono fluttuazioni del mio sé reale oppure vi è un sé reale “nonostante” le oscillazioni?”
Oltre a queste, è facile che venga sollevata la questione delle “cure” come fattore più o meno desiderato di cambiamento: “curare il mio disturbo mi cambierà? Quanto? Come? Comporterà un’alterazione irreversibile del mio essere? Cosa mi succede prendendo farmaci a lungo termine? Come faccio a rimanere sempre e comunque me stesso visto che prendo ogni giorno queste sostanze che in qualche modo alterano e modulano i miei sensi, le mie percezioni, le mie emozioni, i miei pensieri?”.
Devo ammettere che, come terapeuta, a volte mi capita di sentirmi schiacciato e inutile di fronte a certe domande…
PER UN TENTATIVO DI NORMALITA’…
E’ forte il rischio di concentrarsi, in questi casi, solo sugli aspetti relativi alla disabilità e alla compromissione, contribuendo a tratteggiare un’immagine distorta che perpetua la visione del Disturbo Bipolare come un’esperienza totalmente negativa. Questa immagine, come accennavamo, è generalmente quella di una disabilità a lungo termine, della necessità di evitare gli stress, di una malattia che è vista quasi sempre come un nemico contro cui lottare quotidianamente, di una prospettiva in cui i farmaci diventeranno «compagni per la vita».
Il rischio, come in ogni profezia che si auto-avvera, è che si scatenino risposte emotive e comportamentali nell’individuo che riceve la diagnosi, il che può portare a un’iper-identificazione con il disturbo, con livelli ridotti di funzionamento e una qualità di vita più scadente o una ipo-identificazione, con il rifiuto di tale prospettiva e delle cure.
Chi lavora con questo disturbo sa bene che, a differenza di molte condizioni cliniche, molti pazienti associano anche una serie di qualità positive al disturbo bipolare. Credo che questo sia un aspetto troppo spesso sottovalutato da noi clinici, in quanto i trattamenti standard sono focalizzati sull’ottenere la massima aderenza ai regimi terapeutici e sul gestire, normalizzare, attenuare e, in definitiva, neutralizzare i sintomi.
Riferimenti
Dario Catania |Lug 16, 2021
Ilario Mammone | – www.psicologiafenomenologica.it – Lug 8, 2021
M. Zaccagni, P. P. Colombo, F. Aceti, A history of bipolar disorder: from Areteo of Cappadocia to DSM-IV and bipolar spectrumautori – vau_aut_id
– www.psicologiafenomenologica.it –
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