Da mese a mese, sappiamo che prima o poi arriverà il “dopo”. A marzo scorso lo pensavamo per settembre, oggi ci rendiamo conto che forse sarà a settembre dell’anno successivo. Per fortuna, a differenza di un cambiamento climatico, una pandemia sembra avere una fine, o comunque un’evoluzione a nostro favore. Confidiamo nella scienza, nella società e, per quanto sembri strano dirlo oggi, nelle capacità di chi ci governa.

Siamo praticamente certi, quindi, che tutto questo finirà e quindi il tutto dovrebbe essere meno angusto e faticoso, ma non è così. Per la prima volta nelle nostre vite adulte, ci troviamo di fronte all’angoscia del presente. Lo stato di emergenza ci ha costretti all’essenziale, un essenziale che minaccia di ridursi un po’ di più ogni giorno, e che scopriamo essere ristretto a lavoro e famiglia. No, non è poco: beato chi ha la fortuna di averli entrambi, e bisognerebbe saperne godere ogni momento. Invece alcuni giorni ci manca l’aria, e ci domandiamo perché. E la risposta, forse, è proprio nell’angoscia del presente. Un giorno può essere pieno anche senza sport, intrattenimento, cultura, progetti di viaggio, piacevoli imprevisti, passeggiate con gli amici… ma se questa dimensione manca tutti i giorni, la nostra vita diventa un eterno giorno presente, che inizia come finisce, per ricominciare così il giorno successivo. Come se a ridursi fosse proprio la nostra possibilità di far procedere il tempo: quel tempo che nell’avanzare ci porta altrove, ci salva, ci dà un senso, e che per farlo usa le feste, le vacanze, le domeniche, le serate, l’immaginazione.

Persa questa dimensione, diventiamo incapaci di vederci nel futuro, e quindi di progettarlo. Per molti adulti, questa fissità è un rallentamento, uno “stare” che ci farà riemergere un po’ più vecchi, ma auspicabilmente non meno capaci di riattivare immaginazione e speranza. Se invece pensiamo ai giovani, a chi sta vivendo un anno che doveva essere unico (la maturità, l’università, la ricerca del primo lavoro) in quale condizione quotidiana può averli congelati la pandemia? In un presente che non era ancora definito, che si stava definendo, e che ora deve essere messo in attesa.

E forse questo riguarda anche chi ha appena avuto un figlio, e per il suo primo anno di vita aveva mille progetti, chi ha appena iniziato una storia d’amore, chi sa che gli resta poco tempo ancora col proprio anziano compagno, chi l’amore lo cerca da anni e si era detto “quest’anno ce la faccio”, chi un anno fa era già stanco e aveva finalmente deciso di iniziare a prendersi cura di sé.

 

Forse il peso di questa fissità ci riguarda tutti, perché questa è una transizione prepotente, che scavalca e sconvolge tutte le altre. Sappiamo che siamo dei privilegiati, se questa stagione delle nostre vite ci trova senza la preoccupazione di continuare a mangiare o ad avere un tetto sulla testa, se ci trova con un lavoro e con intorno persone che amiamo e con cui abbiamo scelto di vivere. Ma questo non impedisce all’angoscia del presente di tenerci compagnia da molto vicino, qualche volta facendoci mancare anche un sorso d’aria. Riconoscerla, darle un nome, sapere che occupa dello spazio nelle nostre menti e nei nostri cuori, non vuol dire “cederle”, ma rispettarne le cause, e autorizzarci a essere stanchi, e anche tristi, perché nessuno mai prima di noi aveva vissuto una pandemia con lo stesso livello di conoscenza, consapevolezza e intensità di presente con cui entriamo nella stagione che abbiamo davanti.

L’IMPATTO DELLA PANDEMIA

Ci vorrà tempo per capire gli effetti complessi di questa vicenda sulla psiche umana, anche perché non sappiamo quanto ancora durerà e che evoluzione avrà. Però sappiamo bene che la pandemia, sia per gli effetti sanitari che per quelli sociali, ha determinato una crisi psicologica diffusa, con livelli di stress mai visti. Conta molto, ovviamente, la dimensione soggettiva personale quel particolare modo di far esperienza della vita che riguarda proprio me o proprio voi, o qualunque persona nel suo soggettivo vivere. In altri termini, è l’insieme di ciò che abbiamo vissuto durante la nostra vita a dispiegare quello spazio della nostra esistenza su cui un evento può collidere. L’ansia o la depressione possono di certo presentarsi come correlati in corso di importanti cambiamenti di vita, ma assumono una fenomenologia, e quindi un senso, ben differenti quando emergono come espressione di un’esistenza messa più radicalmente in discussione.

Possiamo infatti osservare che l’evento-covid, in quanto non previsto né prevedibile, ci ha messo in condizione di sentire la nostra soggettività. Il più delle volte, tale modalità di donare un senso personale al nostro vivere scorre via inavvertita, perché facciamo sempre le stesse cose, perché la vita tende ad essere banale, scontata, monotona, perdiamo così di vista la nostra dimensione personale “quel nocciolo di noi stessi” che racchiude la nostra vita e si rivela nell’essere nel mondo condiviso. Ma quando un cambiamento importante sconvolge le nostre vite, siamo costretti a “sentirci”, ossia a percepire la condizione con cui ci predisponiamo ad affrontare l’evento. E questa condizione, in eventi che sono stati definiti come “situazioni limite” (K. Jaspers, 1919) per il fatto di mettere in discussione la nostra stessa esistenza, ci pone di fronte a quel senso soggettivo del vivere. In maniera più o meno consapevole, riaffiorano degli interrogativi sulla propria vita. Quel che sono diventato è quello che desideravo quando, da piccolo, sognavo di diventare grande? È questa la vita che immaginavo quando mi vedevo “da grande”? La risposta più frequente è che in parte sì, è questo quello che volevo, in parte no, volevo altro. Ma non è questo il punto. Il punto è che, da bambini, immaginavamo possibilità di crescita e cambiamento. E quindi la domanda andrebbe posta in altri termini: sono ancora presenti in noi queste possibilità di cambiamento e trasformazione?

In maniera semplicistica, sembrerebbe di no. Il Centro Studi CNOP tramite l’Istituto Piepoli ha monitorato periodicamente i livelli di stress degli italiani: oggi il 51 per cento ha un livello tra 70 e 100, che è il massimo. Si pensi che a gennaio 2020, prima della pandemia, solo il 30 per cento aveva questo livello di stress. Peraltro tutte le ricerche effettuate in Italia danno risultati analoghi. I dati e l’osservazione clinica ci dicono che tutte le fasce d’età, sia pure per motivazioni in parte diverse e con manifestazioni differenti, sono interessate da questo disagio psicologico, una condizione conosciuta a livello internazionale come Psychological Distress e nei manuali diagnostici come Disturbo dell’Adattamento o, nei casi più gravi, Disturbo Post-Traumatico da Stress. Si ha quando si vive una situazione di difficoltà significativa per la persona, come una malattia, una perdita, un cambiamento importante e così via: tutto ciò che mette in crisi i nostri equilibri adattativi. Pensiamo ai bambini che assorbono le ansie dei genitori, ai portatori di fragilità oggi ancora più vulnerabili, agli anziani che si sentono soli e in pericolo, alle persone con malattie che non ricevono più l’assistenza di cui hanno bisogno.

L’esperienza psicopatologica emersa durante questo periodo di pandemia, tra lockdown e coprifuoco, è però un’esperienza, in linea di massima, condivisibile. “Sto male a causa del lockdown” è la frase più ascoltata in questo periodo. Come detto sopra, ciò viene generalmente ascritto a forme d’ansia o di depressione, che possono talvolta presentarsi come correlati di un periodo di cambiamento importante, ma altre volte possono esprimere una effettiva forma psicopatologica di esistenza. In altri termini, da un lato, vi sono quei correlati ansioso-depressivi propri di particolari momenti di vita (perdita del lavoro, scomparsa di persone care, esperienza di malattia); dall’altro, tuttavia, il costituirsi di una struttura psicopatologica è associato ad una più profonda messa in discussione dell’esistenza che, nelle forme correlabili alla pandemia, sembra riguardare il rapporto che c’è tra quel “nocciolo” originario, fonte di ogni esperienza, e l’identità che ogni vita tende a darsi

Con questa radicale messa tra parentesi della frenesia del vivere quotidiano, l’identità con cui abbiamo imparato a mostrarci nel mondo, in alcuni casi, non è più sorretta. Quindi ciò che emerge in queste esperienze è un intenso soffrire, costituitosi come esistenza che finalmente trova occasione per comunicare se stessa. L’evento-covid diventa l’occasione per mettersi in crisi, per svelare la disperazione che albergava in alcuni di noi.

CURARE I DANNI DELLA PANDEMIA

Quello che sappiamo bene è che questo disagio psicologico, se non viene ridotto con interventi efficaci, avrà effetti a lungo termine sulla salute e sulla qualità della vita. E’ come un’onda che si propaga nel tempo, basti pensare a quello che si è osservato in altre emergenze: vi è stata una impennata delle malattie, per esempio un raddoppio di quelle cardiovascolari. Sono tutte condizioni di cui non ci si deve vergognare, perché conseguenze fisiologiche della situazione, e che vanno affrontatate con consapevolezza. Le nostre risorse psicologiche sono messe a dura prova, e ovviamente è la nostra capacità di resilienza che può fare la differenza, perché la reazione agli eventi è legata alla psiche soggettiva, che deve essere aiutata. La resilienza, delle persone e delle comunità, si può sviluppare anche nelle situazioni di emergenza con opportune strategie.

Aprirsi, confrontarsi con uno psicologo o uno psicoterapeuta, che sa ascoltare e comprendere, può fare la differenza, può ridare slancio ad un’identità in difficoltà e ricostruire l’abituale via di comunicazione con il mondo che, soprattutto persone predisposte, hanno potuto inevitabilmente perdere.

Riferimenti

Corbelli L., Piazzalunga F. (2007). Dal tempo vissuto al tempo subìto. Un’analisi psicopatologica della dimensione melanconica. Giorn Ital Psicopat 2007; 13: 62-68.

Jaspers K. (1919), Psicologia delle visioni del mondo.

Massari E., (2020). Curare i danni psicologici della pandemia. Il Foglio.

Zezza R, (2020), Immobilizzati nel presente: come ci fa sentire avvicinarci a un anno di pandemia. IlSole24ore.