La sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (PAS, sigla dal termine in inglese Parental Alienation Syndrome) consisterebbe in una controversa dinamica psicologica disfunzionale che, secondo le teorie dello psichiatra forense statunitense Richard Gardner, si manifesterebbe sui figli minori coinvolti tanto in contesti di separazione e divorzio dei genitori, definiti conflittuali, quanto in contesti di presunta violenza intra domestica. Secondo Gardner questa “sindrome” sarebbe il risultato di una presunta “programmazione” dei figli da parte di uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) che porta i figli a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore (definito “genitore alienato”). In poche parole sarebbe un incitamento ad allontanarsi da uno dei due genitori, portato avanti intenzionalmente dall’altro genitore attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse e costruzioni di «realtà virtuali familiari». Per Gardner, affinché si possa parlare di PAS è necessario che questi sentimenti di astio e di rifiuto non nascano da dati reali e oggettivi che riguardano il genitore alienato.
Fin da subito la teoria di Gardner fu molto contestata nel mondo scientifico-accademico poiché priva di solide dimostrazioni. Per lo stesso motivo non è nominata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5), che è la principale fonte per i disturbi psichiatrici ufficialmente riconosciuta in tutto il mondo, e non è considerata nemmeno dall’APA (American Psychological Association), mentre molti sono gli studi che provano la scarsa solidità di quanto proposto (Spataro et all. 2018, Houchin et all. 2012, Escudero et all. 2008, Bernet et all. 2008 solo per citarne alcuni, più tutta una serie di altri pareri scientifici e giuridici).
Nonostante la mancanza di prove scientifiche a supporto, l’alienazione genitoriale – intesa non come sindrome di cui soffrono i minori (PAS) ma come condotta attivata all’interno di una famiglia che si sta sfaldando e che viene ritenuta esistente nel momento in cui i bambini non vogliono più vedere uno dei due genitori (AP) – viene presa in considerazione molto spesso nelle aule dei tribunali, anche in Italia: diventa cioè un principio in ambito giudiziario a cui si fa spesso ricorso nei casi si separazione conflittuale.
LA PAS NEI TRIBUNALI
Prima di proseguire è necessario sapere come nel rapporto dell’ISTAT del 2018 si dice che per quanto riguarda il tipo di affidamento, negli ultimi dieci anni si è verificata una netta inversione di tendenza: fino al 2005, è stato l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre la tipologia ampiamente prevalente. Nel 2005, i figli minori sono stati affidati alla madre nell’80,7 per cento delle separazioni e nell’82,7 per cento dei divorzi. A partire dal 2006, in concomitanza con l’introduzione della legge numero 54 che ha stabilito come il principio generale debba essere l’affidamento condiviso, la quota di affidamenti concessi alla madre si è ridotta. Il sorpasso vero e proprio è avvenuto nel 2007 (72,1 per cento di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre), per poi consolidarsi ulteriormente. Nel 2010 c’è stata una riduzione della percentuale dei figli affidati esclusivamente alla madre, pari al 9 per cento, tendenza che si è consolidata negli anni successivi. Nel 2015, che sono anche gli ultimi dati a disposizione, le separazioni con figli in affido condiviso sono circa l’89 per cento contro l’8,9 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre. Per quanto riguarda l’invocazione parentale, non ci sono dati a cui fare riferimento, ma come ha confermato Avvenire in un articolo del 2017 e come sostengono diversi avvocati, «nove volte su dieci» sono i padri che si appellano a una presunta alienazione genitoriale.
Il principio dell’alienazione parentale (e in Italia ci sono diverse associazioni che lo difendono) viene invocato ogni volta che non c’è condivisione sulle scelte da fare per i bambini, ma diventa un problema soprattutto in alcune circostanze. L’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, che riunisce decine di Centri Antiviolenza attivi in Italia, ha criticato spesso questo principio: nelle situazioni di maltrattamento, infatti, l’alienazione genitoriale viene utilizzata in maniera strumentale «dai padri maltrattanti nelle aule giudiziarie per screditare le donne che in sede di separazione richiedono protezione a favore dei figli che si rifiutano di incontrare il padre perché traumatizzati dai suoi comportamenti violenti». In sostanza si finisce spesso per non riconoscere il trauma dei bambini e delle bambine e per colpevolizzare invece la madre (già vittima di violenza) ritenendola responsabile di comportamenti che vengono definiti come atti di alienazione parentale. Un richiamo all’Italia in questo senso era stato presentato nel 2011 dal Comitato CEDAW delle Nazioni Unite.
In ogni caso il punto principale della questione rimane che l’alienazione parentale rischia concretamente dunque, di far riferimento a un principio di genitorialità disgiunto da tutto il resto, o meglio: al diritto alla genitorialità a prescindere dal contesto, anche quando il contesto è violento. Tende a confondere la violenza con il conflitto interno a una coppia che si sta separando, afferma che uno dei due genitori è responsabile della qualità della relazione tra i figli e il genitore, anche se questo che ha agito o meno con violenza, colpevolizza le vittime e, di fatto, non protegge i bambini che assistono ai maltrattamenti.
LA NOTA DEL MINISTRO DELLA SALUTE
Dopo anni in cui i vari comitati scientifici hanno battagliato per evitare di incorrere in tali problematiche, si è giunti al maggio di quest’anno, quando il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha cercato di fare il punto sulla questione “PAS” in Italia in modo molto equilibrato, attraverso una nota. Come afferma anche lo psicologo Marco Pingitore, la nota afferma un principio fondamentale a livello scientifico, ovvero che la PAS, intesa come Sindrome, non è suffragata da sufficienti elementi scientifici per cui è scorretto riferirsi all’alienazione parentale come “sindrome”. In effetti, quando qualcuno la tratta come sindrome la descrizione dei sintomi non è mai chiara (con il termine sindrome si intende, in medicina, un insieme di sintomi e segni clinici che costituiscono le manifestazioni cliniche di una o diverse malattie, indipendentemente dall’eziologia che le contraddistingue).
La seconda parte significativa della nota è centrata in questo stralcio:
Gli studiosi che hanno approfondito tale tematiche hanno introdotto correttivi e spunti di riflessione, anche critici, sia preoccupandosi di individuare i criteri per una diagnosi differenziale, sia inserendo tale problematica nel “continuum” di relazioni che si instaurano tra ciascun genitore e figlio, prima e dopo la separazione, di cui l’alienazione può essere l’esito finale di processi relazionali sempre più negativi, sia chiedendosi se effettivamente sia legittimo parlare di sindrome e, ancora, se gli interventi di “riprogrammazione del bambino” attraverso l’allontanamento siano efficaci e psicologicamente adeguati, come segnalato nell’interrogazione in esame.
Tutto ciò corrisponde a quanto affermano i vari studi, ma anche ad esempio ad un lavoro di Pingitore e Mirabelli del 2019, in cui viene proposto uno schema del processo di alienazione parentale inteso proprio come «continuum di relazioni che si instaurano tra ciascun genitore e figlio, prima e dopo la separazione»:
Continuare a parlare di PAS o di alienazione genitoriale, o parentale, non sembra dunque più conforme alle più aggiornate conoscenze scientifiche in materia; la letteratura essenzialmente internazionale testimonia la non scientificità di questi concetti. Vi si intravede inoltre la violazione di più di un articolo del Codice deontologico degli psicologi. Si auspica, perciò, la promozione di studi sistematici e l’utilità quindi della costituzione di un panel di esperti per approfondire il fenomeno dell’AP, non negando l’esistenza del fenomeno, ma al contrario, cercando di individuare dei concetti stabili e delle consequenziali procedure per affrontare al meglio le varie esperienze.